martedì 30 ottobre 2007

SICUREZZA ED IMPRONTE DIGITALI, CHI NON LE VUOLE?


Qualche tempo fa, grazie alle mille risorse messe a disposizione dalla rete, ho deciso di approfondire un tema che mi sembrava per molti versi banale, quello delle impronte digitali.
Ritenevo infatti del tutto normale che in un paese come il nostro, in perenne allerta criminalità, si potesse quantomeno migliorare la situazione ricorrendo alla raccolta dei dati biometrici delle persone censite o fermate perchè clandestine.
Quando hanno richiesto le mie, al rinnovo della Carta di Identità elettronica, non ci ho trovato nulla di male, anzi, mi è sembrato del tutto naturale.
Ma sbagliavo, perché non avevo considerato le innumerevoli problematiche legate alla 'privacy' violata, al regime di polizia che si sarebbe instaurato, alla copertura finanziaria di una operazione che, pare, possa giungere a costare 35 € per ogni rilevamento.
Provate per curiosità a cercare documentazione sulla materia su Internet e verrete travolti da una miriade di commenti, penso anche autorevoli, sui rischi legati alla schedatura di massa.
Per evitare di essere catalogato sbrigativamente tra i forcaioli del Nord Est, allevato a pane e Padania, ho deciso di proseguire queste righe prendendo spunto da un dato semplice semplice, la definizione di sicurezza data da un comune Dizionario della Lingua Italiana De Agostini:
Sicurezza Sostantivo Femminile: condizione, stato di esenzione da pericoli, il non correre alcun pericolo.
Bene, il punto di partenza è adesso oggettivo, sgravato da ogni cornice o contaminazione ideologica.
La sicurezza è dunque uno stato quasi tantrico, lieve e sicuramente piacevole, di rilassatezza fisica e psicologica.
Evita la tensione muscolare e mentale necessarie per garantirsi l'incolumità o la sopravvivenza.
E' uno strumento essenziale al raggiungimento del benessere 'evoluto', che permette di destinare le nostre migliori risorse in attività diverse da quelle altrimenti impegnate nell'evitare un qualche pregiudizio personale, proprio od altrui.
Credo sia quindi un bene prezioso, un diritto sacrosanto del quale dovrebbero poter godere tutti, italiani e stranieri, anche a costo di qualche tollerabile sacrificio.
Un passo elementare in questa direzione, a mio avviso, consiste nell'attribuire a tutti un'identità.
Gli immigrati italiani, che a fine '800 scontavano la quarantena all'ingresso negli Stati Uniti nella celebre Staten Island, a New York, dovevano in ogni caso fornire un nome e un cognome ai funzionari statunitensi, pur in assenza di documenti che spesso non avevano mai posseduto.
Li chiamavano con disprezzo WOP (S), acronimo di WithOut Passports e tutt'ora questo termine viene usato per identificare la comunità italo-americana.
Ora la tecnologia ci offre strumenti molto più efficaci dell'invenzione di un nome di fantasia al momento dello sbarco.
Milioni di persone (di ogni razza e colore), nel rinnovare i propri documenti di identità devono già appoggiare l'indice della mano destra su un sensore che ne memorizza il dermatoglifo, e c'è da chiedersi quale terribile attentato alla democrazia possa rappresentare l'estensione di questo obbligo anche a quelle persone, spesso clandestine, che vengono sottoposte a fermo nel corso delle attività ordinarie di polizia.
Eppure pare che per alcuni soloni delle solidarietà ad ogni costo l'ordine delle priorità risulti diverso, e che la mancanza di sicurezza sia insinuata nell'uso del mezzo tecnico, anziché dalle conseguenze della vita in clandestinità.
Verò è, per onestà, che le figure del clandestino e del delinquente non sempre coincidono.
Teniamone atto e, tra tante sanatorie fiume sollecitate dal mondo cattolico e terzomondista, perchè non offrirne una che conceda un permesso di soggiorno temporaneo a chi accetta di sottoporsi ai rilevamenti delle impronte digitali?
Se censiamo, e non schediamo che è obbiettivamente diverso, la popolazione residente non potremo certo prevenire il compimento di nuovi delitti, ma possiamo efficacemente contrastare molti di quelli commessi o forse, chissà, scoraggiarne alcuni.
A chi giova quindi negare l'utilità pratica e criminal preventiva di poter identificare tutti i membri di una comunità?
E perché tale onere deve ricadere solo sulle persone, anche straniere, che 'si presentano' ufficialmente al gruppo di cui chiedono di far parte?
E' forse questo equo, oppure giusto?
In Italia si sono create due popolazioni, una reale e una clandestina.
E' superfluo indicare quale delle due lo Stato dovrebbe tutelare con determinazione, ed in questa, ricordiamolo, vi sono tanti immigrati che meriterebbe ben più considerazione di quella che ricevono. Allego un link sull'uso delle rilevazioni biometriche in Svizzera, ben precedente alla vittoria elettorale delle destra. Leggiamola e pensiamoci su.


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