venerdì 7 dicembre 2007

SENATORI A VITA - UNO STUDIO

Art. 59.

"È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.

Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario."


L'agonia di questo Governo, 'intubato' grazie al voto degli inossidabili senatori a vita, trova origine in questo articolo della Costituzione, interpretato restrittivamente sino al 1984 (Pertini), anno nel quale si ritenne che ogni Presidente della Repubblica potesse legittimamente nominarne 5.
Quelli attualmente in carica sono 7 (Pininfarina, Levi Montalcini, Colombo, Andreotti, Scalfaro, Cossiga, Ciampi) e solo quattro di questi risultano di nomina presidenziale.
Posto che con il loro voto, allo stato, indirizzano comunque la politica di questo paese sostenendo una maggioranza che rappresenta un corpo elettorale insufficiente a determinarla in sede parlamentare, c'è da chiedersi se rappresentino o meno la nazione.
Ci assiste nella risposta a questa domanda uno studio del Prof. Francesco Paterniti, docente all'Università di Catania, che vi invito a leggere e dal quale estrapolo una citazione interessante, risalente al 1973 e, pertanto, immune da qualsivoglia lettura di parte:

cclarata l'assenza di qualsivoglia rappresentatività, dovuta alla mancanza di ogni forma di

(...) "Acclarata l'assenza di qualsivoglia rappresentatività, dovuta alla mancanza di ogni forma di
collegamento con il popolo detentore della sovranità ex art. 1 Cost., deve a nostro avviso essere
considerato che i senatori a vita trovano come unico elemento legittimante la loro presenza in
Parlamento l'aver dato lustro alla Patria per gli altissimi meriti acquisiti nel campo sociale,
scientifico, artistico o letterario. La partecipazione di tali senatori alla vita politico-parlamentare,
conseguentemente, sarebbe configurabile più correttamente ove gli stessi limitassero la loro attività
ad un contributo propositivo di idee e di riflessione in relazione ai campi in cui si sono distinti con
la loro precedente attività. L'organo da cui ripetono la loro legittimazione ed i titoli che giustificano
la loro presenza nel Senato repubblicano suggeriscono, quindi, una partecipazione più istituzionale
che politica. In quest'ottica, «il buon gusto costituzionale dovrebbe consigliare loro di astenersi da
forme di milizia attiva, dalla così detta "politica calda". La causa della loro nomina, infatti, e la loro
irresponsabilità elettorale sembra collocarli in un rango di politica non partitica, quasi in un ruolo di
alta influenza» ([34]). Non risultando in maniera effettiva il maggiore o minore peso politico delle
diverse questioni sottoposte all'assemblea di Palazzo Madama, sembrerebbe più opportuno che i
senatori di nomina presidenziale limitassero il loro apporto alla fase dell'iniziativa e del dibattito,
astenendosi invece dal voto ([35]). Pare dunque condivisibile, in questa direzione, la considerazione
secondo la quale «i senatori non elettivi [...] godono di uno status differente da quello dei senatori
elettivi, applicandosi ad essi la normativa comune solo in quanto razionalmente compatibile con la
particolarità della loro posizione» ([36])". (...)

Posto che nessuno li vota, nessuno può cacciarli se viene reputato negativo il loro operato, ergo dovrebbero astenersi dal determinare scelte di indirizzo politico.
Cosa che fanno bellamente

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